Al 17esimo minuto della partita Fiorentina-Inter, il primo di dicembre scorso, il centrocampista Edoardo Bove si è piegato per allacciarsi le scarpe, rialzandosi dopo pochi secondi. Ma una volta in piedi, ha iniziato a barcollare, per poi accasciarsi sul terreno di gioco apparentemente privo di sensi. Ha avuto un malore cardiaco. È stato subito soccorso da compagni e avversari. Poi, l’intervento decisivo col defibrillatore, le manovre rianimatorie, la corsa al vicino Ospedale di Careggi, la terapia intensiva. E la fine della carriera calcistica almeno in Italia, perché qui è vietato scendere in campo con un defibrillatore sottocutaneo. Tutto questo a 22 anni.

Venerdi sera Edoardo Bove è stato tra i superospiti della finale di Sanremo 2025, per ribadire l’importanza del primo soccorso. «Vivo alti e bassi, perché il calcio è la mia forma di espressione, senza non mi sento lo stesso. Sono vuoto, incompleto. È come se mi mancasse qualcosa, è come se a un cantante togliessero la voce o una persona perdesse il grande amore. Ci vuole coraggio. E stasera voglio ringraziare tutti voi per l’affetto e dirvi che ho iniziato un percorso di analisi per vivere certe emozioni che ho provato, mi servirà per il futuro».

Continua Edorado Bove a raccontare che ha capito la gravità della situazione solo in un secondo momento, quando si è svegliato in ospedale senza ricordare nulla e ha visto la famiglia, gli amici, le persone che hanno davvero avuto paura di perderlo. «Mi ritengo realmente fortunato per come sono andate le cose: 13 minuti ed ero in ospedale. Quello che mi è successo è accaduto nel momento giusto e nel posto giusto. Ma non per tutti è così. Sono tante le testimoniante di chi ha perso i propri cari per episodi simili, perché non c’è stata prontezza nel soccorso. La linea tra la vita e la morte è sottile. E dobbiamo renderci conto di quanto dipendiamo dagli estranei. Sono davvero grato».

Sezione: News / Data: Dom 16 febbraio 2025 alle 19:37 / Fonte: vanityfair.it
Autore: Redazione
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