«Leoni state a casa e aiutiamo l’ospedale “San Carlo” di Potenza. Facciamo una donazione. Supportiamo la nostra terra». È l’appello di Francesco Colonnese, ex calciatore di Potenza, che scende in campo dopo la raccolta fondi lanciata da un altro calciatore lucano, di Policoro, il centravanti del Torino, Simone Zaza.

Con «Ciccio» Colonnese, come lo chiamano tutti, 49 anni, la sua terra e l’Inter nel cuore, una Coppa Uefa vinta, tre stagioni con il grande Ronaldo e un sogno da dirigente a caccia di talenti, non si ferma, ma assume un nuovo significato in questo momento di emergenza Covid-19, la lunghissima staffetta della Gazzetta verso il 2021, anno di Potenza «Città Europea dello Sport». È una staffetta di solidarietà tra le testimonianze dei protagonisti di ieri, di oggi e di domani, tra curiosità, ricordi, aneddoti legati alla loro storia sportiva, con foto e video-messaggi on line sulla Gazzetta.

È difficile parlare ora di sport e di calcio?

«Indubbiamente è un momento difficile per il Paese e per lo sport in generale è motivo di preoccupazione e sofferenza. Siamo di fronte a regole ferree che vanno osservate, si richiede anche al mondo dello sport un grande senso di responsabilità. Lo sport è gioia, felicità, rapporto umano anche epidermico, contatto vivo di pelle e di emozioni. Il respiro significa sofferenza e porta a gioire: se manca tutto questo non può esserci sport. Condivido lo stop, andava fatto anche in modo più veloce e responsabile».

Con le competizioni ferme si può continuare a fare sport?

«Si deve continuare a fare sport attrezzandosi nel proprio ambiente. È un adeguarsi a un tipo di sport diverso, salutare per pulire il corpo e la mente».

Una prova di maturità, insomma...

«Bisogna avere regole ferree di disciplina lavorativa. È sempre stato il mio diktat, anche da bambino quando ho cominciato. Se vuoi diventare un campione, devi impegnarti sempre, non solo quando giochi in serie A».

E fin da piccolo lei ha dovuto faticare per imporsi?

«Avevo 15 anni e ogni giorno prendevo il treno da Potenza per andare ad allenarmi ad Avigliano dove ho iniziato a calciare nel settore giovani. Sono il secondo di tre fratelli: Giuseppe (50 anni) il più grande e dopo di me, Maurizio (45). Mio padre Vincenzo, amante di calcio e presidente dell’Avigliano, ci portava a vedere le partite. Lui, come tanti, puntavano su mio fratello Giuseppe: aveva qualità tecniche superiori e si pensava che lui dovesse diventare il professionista. Io avevo cominciato nel basket, a 13 anni sono passato al calcio. Volevo dimostrare che ero più bravo, era quasi una ripicca, una rivincita verso mio fratello. “Quello è bravo”, dicevano tutti. E allora io ci mettevo più voglia e grinta. Mio zio Rocco, preside, e mio padre prediligevano la cultura. “Studia - mi dicevano - il calcio non ti farà mangiare”. Non è stato così. La mia testardaggine mi ha fatto scegliere la strategia vincente. La stessa che poi mi ha portato in A».

Torniamo indietro agli inizi dall’Avigliano, al Potenza e poi al Giarre, in Sicilia.

«Mia mamma Margherita mi diceva: “Figlio mio torna a casa. Fai il ragioniere”. Allora, infatti, tornavo dalla Sicilia a Potenza una volta l’anno, i trasporti non lo consentivano. Ma ho tenuto duro, perché il mio sogno si realizzasse: volevo diventare un calciatore. A scoprirmi è stato Ciro Femiano, direttore sportivo del Giarre. Avevo 18 anni e giocavo (quando mi facevano giocare) in C2 nel Potenza. All’epoca i giovani facevano fatica ad emergere. C’era grande competizione. In difesa, al posto mio, giocava Gaetano Costa, siciliano. Preferivano lui. “Se non gioca datemelo”, disse Femiano, che mi volle al Giarre in C1 nel campionato 1991-92. Spese anche tanti soldi per avermi grazie anche alla disponibilità di Vito Giuzio, dirigente del Potenza, e tuttora mio grande amico, che convinse la dirigenza del Potenza a cedermi. Poi il Giarre mi ha rivenduto alla Cremonese, che mi aveva notato in un raduno a Bisceglie dei giovani delle rappresentative di C. Rimasi dal 1992-94 e la Cremonese dalla B salì in A».

Aveva smentito suo padre e quanti non credevano in lei?

«Era il 27 marzo 1993, a 21 anni ebbi la fortuna di giocare nello stadio di Wembley e vincere la Coppa Anglo-italiana, seguita in diretta da Bruno Pizzul. La mia vita era cambiata».

Ora poteva giocare con e contro i suoi idoli?

«Ricordo il mio esordio in A: Juventus-Cremonese a Torino a marcare Vialli. Ho giocato con Baggio, Bergomi, Mancini, Del Piero. Ho incontrato i miei idoli: Baresi, Maldini.

E dopo un passaggio veloce alla Roma e al Napoli, l’approdo all’Inter.

«L’Inter di Ronaldo, di Luigi Simoni, l’allenatore che più mi ha voluto bene. Ricordo sempre il messaggio vincente per andare in A. “Ricordati Ciccio tu vieni da Potenza, sei nel paradiso, c’è gente che viene dalla tua città e spende tanti soldi per venire  a vederti e tu devi onorarli”. Ho sempre cercato di non cambiare le mie rigide regole nel rispetto dei miei tifosi e di tutti».

La tua squadra del cuore?

«Pensare che da piccolo tifavo Juventus. Era la Juve di Michel Platini. Vinceva tutto. Tutti erano tifosi della Juve. Adesso sono un acerrimo anti juventino e tifo Inter per tutta la vita con mio figlio Lorenzo, che ha 13 anni, e gioca anche lui a calcio con impegno e determinazione, e mia moglie Monica. La sua famiglia nasce nel basket. Il  padre Gino Natali è uno dei più importanti general manager di basket, dall’Olimpia Milano alla Virtus Roma, con un passato di cestista nella Montecatini e mio cognato Nicola gioca in A1 a Varese».

La città dove ora vive?

«Ho conosciuto mia moglie a Roma nel 2000, ci siamo sposati nel 2006 quando ho smesso di giocare con il Siena e vivo a Montecatini, dove è nato mio figlio».

Una storia che passa comunque da Potenza?

«È una una storia incredibile, ho conosciuto Monica a Montecatini tramite un amico. Ma andiamo con ordine, nel 1993 è la prima volta che vado a Montecatini, dove c’era uno dei migliori fisioterapisti, Antonio Pagni. Era il fisioterapista di Roberto Baggio, della nazionale mondiale del 2006. Stavo lì nell’albergo di Pietro e Michela Fanuele. Lui è di Potenza, la madre era un’amica di famiglia. Abitavano nel mio palazzo. Furono i miei a contattarli a Montecatini perché mi ospitassero. Tutto è partito da lì. C’è sempre Potenza nella mia vita. Torno dai miei una volta al mese, spero di poterli abbracciare presto».

Il ricordo più bello della sua carriera da calciatore?

«Sono due: la vittoria dell’Italia agli Europei di calcio under 21 nel 1994 e la Coppa Uefa con l’Inter nel 1998».

Un rammarico?

«Ne ho due. Non aver vinto lo scudetto nel 1998 con l’Inter e l’anno dopo a Manchester in Champions League ho sbagliato un gol all’ultimo minuto, un gol incredibile».

Quante volte lo avrà rivisto...

«È il film della mia vita. È come se ci fossero due porte e io non vedo quella vuota, se alzo la testa la palla è in gol e finisce la partita. Potevo essere il primo lucano a fare gol nello stadio Old Trafford!».

E da lì tutto è cambiato?

«Quella partita mi ha segnato. Poi l’esonero di Simoni dall’Inter e il trasferimento alla Lazio. È un momento difficile della mia carriera, poi la stasi e la discesa ma con grande serenità nella consapevolezza di aver dato tutto. Potevo vincere ancora di più e arrivare in nazionale maggiore. Quelli in under 21 con me sono andati avanti, io mi sono fermato un po’ prima».

L’amico che ha avuto sempre vicino?

«Simoni. Mi ha aiutato molto, non mi ha mai abbandonato. Poi la mia famiglia».

Qualche aneddoto legato a Ronaldo?

«Prima della finale di Parigi, ci chiuse nello spogliatoio e ci disse: “Vi faccio vincere”. Avevamo perso lo scudetto con la Juve. “Sappiamo come marcare Ronaldo”, avevano detto. E lui, invece, fece gol a tutte le squadre e li ridicolizzò con numeri incredibili».

E Potenza, le manca?

«Mi è mancata da morire la mia città, mi sono sentito chiamare “terrone”, molti non sapevano neppure dove fosse Potenza. Dove trovo lucani mi lego a loro in maniera folle. Solo chi sta lontano per tanti anni può capire quello che provi andando a vivere in altre città e poi ti fai apprezzare per i tuoi valori e principi».

E ora che Potenza sarà Città europea dello sport cosa si aspetta?

«Vorrei tanta felicità negli occhi nei miei concittadini perché possano fare sport in città e in regione e farla conoscere sempre di più. Seguo anche il Potenza Calcio che sta facendo un grande campionato. Si può fare meglio per le strutture».

Un suggerimento per chi vuol fare il calciatore?

« Ci vuole tanta competenza e serietà. È un gioco, ma va fatto con le idee. C’è chi lo fa in maniera amatoriale e chi è  professionista. Abbiamo una chat “Forza Potenza”, c’è chi parla di pallone e chi di calcio. Ecco cosa distingue un  professionista, da un dilettante, un “pallonaro”, come dico io».

E ora cosa fa?

«Mi godo la famiglia, non mi piace fare l’allenatore, anche se ho i patentini, penso a un ruolo di dirigente tecnico».

Per scoprire talenti? Un nuovo Ciccio Colonnese?

«Mi piacerebbe trovarlo a Potenza. Gli direi: “ Sei stato bravo, forte e coraggioso, non è facile. Per raggiungere questi traguardi devi guardare al carattere, alla professionalità, all’alimentazione”.

E i sapori lucani?

«Mi manca il pane di Potenza».

Com’è Ciccio Colonnese?

«Un estroverso. Ho coraggio e grande felicità di animo. Ho realizzato il mio sogno, ho avuto tutto».

Sezione: Primo Piano / Data: Mar 17 marzo 2020 alle 20:34 / Fonte: La Gazzetta Del Mezzogiorno.
Autore: Redazione TuttoPotenza / Twitter: @tuttopotenza
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