«È un processo indiziario, ma riteniamo che due delle tre aggravanti contestate abbiano trovato dimostrazione nel dibattimento». È il prologo che il procuratore di Castrovillari, Alessandro D’Alessio, ha scelto per la requisitoria d’accusa del processo Bergamini. Parole che fanno da preludio alla richiesta di condanna che, al termine dei due giorni riservati alla pubblica accusa – dopo di lui parlerà il pm Luca Primicerio – la Procura formulerà nei confronti di Isabella Internò, imputata per il presunto omicidio del calciatore del Cosenza.

«È un processo che si fonda sulla prova scientifica, sulle indagini dei Ris, su testimonianze che descrivono un contesto. Dovrete valutare tutte queste cose nel loro complesso» ha aggiunto D’Alessio rivolgendosi alla Corte. I suoi riferimenti, giuridici e talvolta filosofici, sono andati quasi tutti alle prove indiziarie per il tramite di “letteratura” cassazionista. Nel caso di specie, «non abbiamo ricostruito esattamente quale sia stata l’azione omicidiaria, ma è un dubbio che non inficia le conclusioni a cui siamo giunti».

La verità sui tragici fatti di Roseto Capo Spulico del 18 novembre del 1989, per lui, è da ricercare solo nella dicotomia suicidio-omicidio. «Dovrete decidere se è vero che Bergamini si sia suicidato, tuffandosi sotto al camion come sostiene l’imputata o se, invece, sia stato ucciso». Tertium non datur, sostiene D’Alessandro.

Nessun accenno al camionista Raffaele Pisano, per lui è Isabella Internò «l’unica persona che pacificamente è stata in compagnia di Bergamini quando è morto» e, a tal proposito, la versione dell’allora ventenne Isabella non è «poco credibile, ma è falsa. E ricade come un macigno sulle sue spalle. Perché se io ho assistito alla morte di una persona e do un racconto di quella morte smentito dalle prove scientifiche, allora ho interesse a nascondere la verità».

A suo avviso, in questa vicenda, Isabella aveva «un interesse, un movente, uno scopo». Non a caso, l’ultimo accenno di D’Alessandro va al delitto d’onore, tesi da lui sposata appieno e che gli dà l’occasione di tracciare un quadro a tinte fosche della Calabria degli anni Ottanta, in particolare della famiglia Internò, definita un ambiente «patriarcale».

«La Calabria – ha concluso il procuratore – era vista da qualcuno come il posto in cui le questioni d’amore si risolvono con la lupara. La vera situazione inaccettabile era che si restasse incinta senza sposarsi».

Sezione: Primo Piano / Data: Gio 19 settembre 2024 alle 16:37 / Fonte: lacnews24.it
Autore: Redazione
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