Chi scherza col fuoco prima o poi si brucia. Uno dei tanti proverbi italiani, direte. Perfetto, invece, per sintetizzare il progetto sportivo del Cosenza Calcio. Una realtà sportiva che è tornata in B nella stagione 2018/19, ma che non ha mai dato l’impressione di potersi consolidare come realtà di categoria. La sconfitta roboante nel derby calabrese contro il Catanzaro (4 a 0 per le Aquile) rappresenta la punta dell’iceberg di un malcelato malcontento verso una proprietà ed un organigramma societario, che non hanno mai fatto nulla per dimostrare ai tifosi cosentini l’intenzione di andare oltre “il vivere alla giornata”. D’altronde, l’ultimo posto in classifica con 25 punti in 30 gare, 5 punti di distacco dalla penultima e 6 dal possibile playout, sono la fotografia nuda e cruda di come il fuoco si stia trasformando in incendio.
Sia chiaro, nelle nostre analisi cerchiamo di andare sempre oltre i dettagli capziosi, come il torello messo in scena dai rivali catanzaresi a risultato più che acquisito (chi è tifoso sa, a maggior ragione se un derby, il sentimento di impotenza che genera) o la possibilità che il Cosenza si salvi ancora una volta sul filo di lana, perché dietro il traguardo c’è il percorso. La nostra visione è in primis rivolta da sempre alla solidità di un progetto sportivo, rivolta a comprendere chi c’è dietro esso, quali sono le figure che lo caratterizzano e lo alimentano. Poi, c’è ovviamente il campo. Una stagione sportiva disgraziata può sempre capitare (il Cittadella di quest'anno insegna), ma a Cosenza sembra che si sia fatto l’abbonamento a guardare da vicino il burrone.
Stagione 2020/21, 17° posto in B, retrocessione poi sventata grazie al fallimento del Chievo Verona. Stagione 2021/22 e 2022/23, rispettivamente 16° e 17° posto, con play out vinti. Stagione 2023/24, 9° posto, ma 2 allenatori per concludere la stagione, di cui uno (Fabio Caserta) è colui che ora siede sulla panchina del Catanzaro. A volte il destino è beffardo.
D’altro canto, si potrà dire che Eugenio Guarascio (presidente dei Lupi dal 2011) è colui che ha prima vinto la Coppa Italia di C nel 2015 e poi riportato il club calabrese in B dopo 15 lunghissimi anni, ma oltre questo? La Serie B è un campionato competitivo, dove una gestione familistica può vivere solo dinanzi ad enorme competenza. Ad oggi il Cosenza non ha un direttore generale, mentre non si sa bene l’innesto estivo di Rita Scalise in società (formalmente rappresentante legale), lei che ricopre anche cariche di vertice in Unindustria Calabria. Un “brand” Cosenza non è mai stato sviluppato e la questione stadio (il San Vito Marulla) non è mai stata affrontata, lasciando al Comune una gestione da terzo mondo. Questo, giusto per citare due temi che dovrebbero governare alcune aree di ricavi di una società sportiva.
Se, poi, veniamo al campo, anche qui si fa fatica a trovare progettualità nelle scelte tecniche. La campagna acquisti estiva ha mostrato evidenti incongruenze, e il mercato di gennaio non ha rafforzato la squadra come richiesto dall’allenatore Alvini (poi esonerato). Calciatori fondamentali come Tutino, Marras e Calò sono stati ceduti, contraddicendo alla promessa di mantenerli in rosa, mentre operazioni di mercato importanti, come ad esempio quella di Calligara, naufragarono all’ultimo momento in favore del Sassuolo. Capiamo la cessione di Tutino, per la quale il Cosenza ha incassato a febbraio 4 mln di € dalla Sampdoria (a fronte di 2,5 spesi in estate per rilevarlo dal Parma). Le plusvalenze sono necessarie per i club “piccoli”, ma la rosa attuale ha 25,1 di media, è stata costruita con molti prestiti e, soprattutto, non ha propulsori dal settore giovanile.
Così, francamente, è difficile sperare di consolidarsi. Arriviamo anche la riduzione del monte ingaggi rispetto alla passata stagione (da 9 mln di € a 6 – fonte Capology), se è la conseguenza di quei punti di penalizzazione (4), confermati dal Collegio di Garanzia del Coni per mancati versamenti IRPEF e di contributi INPS.
In conclusione, che destino per il Cosenza? Visto da questa prospettiva, estremamente fosco. E dispiace per una piazza di 64 mila abitanti con una media spettatori che conta più di 10000 presenze. Comprendiamo come sia difficile fare calcio a determinati livelli, meno il folklore in certe dichiarazioni (come nel 2019, quando Guarascio disse che il Cosenza per lui era un hobby) e la totale reticenza ad essere trasparenti verso i tifosi, financo al mancato pensiero di cedere il passo di fronte a possibili cordate di imprenditori intenzionate ad investire nel club rossoblù.
Autore: Redazione
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